Il trattamento Trigger Point Theraphy, o Trigger Point Miofasciali, è una terapia per le aree del muscolo e della fascia. Ma in che costa consiste? Quando è stato ideato? Per saperne di più, si può continuare a leggere questa pagina.

La sua storia

Per terapie come queste, bisogna risalire al lavoro della dottoressa Janet Travell, vissuta tra il 1901 ed il 1997, che usò per prima questo termine, nel 1942. Negli anni Sessanta, poi, con la collaborazione del dottor David G. Simons studiò i cosiddetti Trigger Point e la Sindrome Dolorsa Miofasciale. Una ventina di anni, i due pubblicarono un manuale sul trattamento Trigger Point, che portò ad una sorta di rivoluzione nel campo della fisioterapia e della reumatologia. Da allora, ci sono migliaia di fisioterapisti, medici, etc, che usano i trattamenti da loro studiati.

Il nome scelto, stava ad indicare una condizione patologica dei muscoli scheletrici piuttosto dolorosa, che a scala microscopica possono peggiorare perché le fibre muscolari si accorciano. La causa più probabile, di questo problema, è un sovraccarico muscolare, che può bloccare l’afflusso di nutrienti ed ossigeno ai muscoli. Questa patologia si riconosce non solo per la bandelletta tesa all’interno del muscolo, ma anche per il dolore all’interno di essa, e la sua improvvisa comparsa.

Come funziona il trattamento

Il trattamento Tigger Point ha come obbiettivo di migliorare la circolazione sanguigna nell’area interessata, distendere la bandeletta tesa (situata nel ginocchio) e rilassare la fascia che la circonda. Per questo scopo, ci sono varie tecniche per cui optare, di cui la più nota è la Dry Needling, che prevede l’uso di aghi sterili nella zona interessata, allo scopo di stimolare l’attivazione miofasciale.

C’è anche la digito pressisone, o compressione ischemica, in cui, una volta individuata la banda tesa, si tiene premuto fino a che il dolore non si riduce dell’80 %, e tale mano si può riproporre due o tre volte. Sono previste, poi, tecniche di massaggio, o in cui si usa il ghiaccio spray.

Bisogna tenere presente che questa terapia comprende tre fasi, ovvero:

  • la fase interventista, ossia la prima, che consiste nel trovare la causa del dolore, attraverso vari esami, in modo da scegliere la tecnica giusta;
  • il test, ovvero la seconda fase, che è la valutazione muscolare, e per stabilire la scale del dolore bisogna avere come riferimento le mappe del dolore di Travell e Simons;
  • la terza fase, ovvero il trattamento vero e proprio, che può comprendere tecniche come quelle descritte in precedenza.

Di Claudia