La dea più famosa dei fenici era Tanit, dea madre paragonabile all’Ishtar dei Sumeri, o altre divinità femminili del pantheon greco, come Afrodite, Demetra ed Artemide. Non tutti la conoscono, ma il suo culto arrivò anche sulle coste italiane. Continuando a leggere, si può saperne di più.

La patrona di Cartagine

Oltre ad essere la divinità protettrice di Cartagine, Tanit è di sicuro anche la più importante venerata dal popolo fenicio. Legata sia al sole che alla luna, era la dea della fertilità, e sono state trovate molte sue statue votive, risalenti all’epoca preromana, che hanno documentato il suo culto. Spesso questi monumenti riportava il suo simbolo, una piramide tronca sormontata da un disco, che può rappresentare sia il sole che la luna piena. Nel sito archeologico di Thinissut, vicino a Bir Bouregba (Tunisia), nel 1908 venne ritrovata una statua in terra cotta che la raffigurava con la testa di leone (animale che in molte culture si associa al sole e alla regalità).

Il culto di questa divinità sopravvisse all’invasione romana e venne trasferito a Roma. Fu proprio l’imperatore Settimio Severo, nato in Africa, a farla conoscere alla città, facendo coniare delle monete che raffigurava questa dea in groppa ad un leone, e divenne nota con l’appellativo di Caelestis Dea. Oltre che a Roma, il suo culto si diffuse anche in Numidia e in Spagna.

Alcuni studiosi la identificarono con Didone, la regina che si innamorò di Enea, ma il mito di quest’ultimo è posteriore alla presenza della dea tra i fenici. Oltre ad essere la dea della fertilità, era anche la divinità dell’amore, della natura e dei piaceri, portatrice di buona fortuna. L’espressione della sua forza in terra, in base ai suoi attributi, era il serpente, in quanto questo animale conosce bene il suolo.

Il culto di Tanit in Italia

In Italia, grazie ad alcune scoperte archeologiche, risulta che alla dea Tanit venivano sacrificati piccoli animali e addirittura bambina. Nell’isola di Mozia, presso Marsala, si sono trovati molti dei suoi simulacri, delle urne che contenevano ossa di bambini bruciati. Anche in Sardegna vi è un suo tempio, un complesso quadrato ora quasi del tutto distrutto, risalente all’epoca dei nuraghi, che si attribuisce a questa dea perché è stato rinvenuto il suo simbolo, e questo fa ipotizzare che sia stato edificato dai fenici giunti sull’isola.

Questo rito di sacrificio dei fanciulli, venne abbandonato dai Fenici, grazie all’imposizione dei Greci in seguito della vittoria contro i cartaginesi nel 480 a.C., ma alcuni archeologi ipotizzano che i bambini fossero in realtà morti per malattia, e che i fenici non praticassero dei sacrifici umani.

Sarà per questi sacrifici che in molte iscrizioni questa dea viene descritta come dea dell’Amore e della Morte, la Creatrice e la Distruttrice, la Protettrice e l’Ingannevole, e la Tenera e la Crudele, e non è di certo l’unica divinità femminile, definita Grande Madre, che abbia questo duplice aspetto.

Di Claudia